Il film viaggia su un compromesso che è anche la causa del suo limite: la necessità di raccogliere la più grande fetta di pubblico possibile e la voglia di nascondere la componente della violenza, per non incorrere nella censura.
Questo lo porta a non avere sempre un’identità precisa, anche se fortunatamente si è trovata una via di mezzo che non ha snaturato troppo lo spirito della storia.
Infatti la prima parte, la più riuscita ed affascinante, funziona benissimo nella descrizione di una società distopica fondata sull’immagine in cui gli abitanti “ricchi” indossano vestiti sgargianti insieme a pettinature e trucchi stravaganti. Vi si possono leggere molti riferimenti al presente come l’estremizzazione dell’importanza dell’apparire e il ruolo centrale della televisione come controllo della massa.
I protagonisti sono proprio gli Hunger games, reality-show in cui 24 giovani (i Tributi) appartenenti a 12 Distretti “poveri” si dovranno uccidere in un’immensa arena fino a quando ne rimarrà uno solo.
La folle preparazione a questo show riesce ad essere incredibilmente crudele e spietata dal punto di vista psicologico, emblematica la figura del conduttore televisivo dai capelli blu che sorride, ammicca e intervista i Tributi di fronte ad un pubblico ansioso di conoscerli, divertito da quello che gli aspetterà.
Questa parte ricorda il capolavoro Brazil di Terry Gilliam (senza raggiungerne la visionarietà), anche se l’idea di base non è troppo originale.
A partire dal romanzo giapponese Battle Royale, a cui la stessa autrice del romanzo ammette di essersi ispirata, al mito greco di Teseo e il Minotauro, le fonti sono molteplici.
Quello che conta tuttavia è la personalità che si riesce a mettere per rendere propria un’idea già sfruttata, come ormai accade spesso a Hollywood. Personalità che a volte manca soprattutto nella seconda parte, quella del torneo vero e proprio ambientato in una foresta. Da questo momento il regista mostra il fianco ai suoi limiti e si presenta il problema sopracitato. La violenza e la tensione ci sono, ma si avverte la sensazione di aver paura di andare oltre un certo limite. I combattimenti sono ripresi in modo troppo frenetico – un ottimo stratagemma per non far capire cosa stia succedendo – e tutte le premesse della prima parte vengono accantonate e non approfondite.
Soprattutto il realismo violento che caratterizza lo show nel bosco è minato dalla presenza di un gruppo di ragazzi monodimensionali che uccidono con troppa facilità e in generale non si avverte la disperazione e l’angoscia di una situazione così estrema.
Fortunatamente la protagonista, una bravissima Jennifer Lawrence, è il personaggio meglio caratterizzato che insieme ad altri ottimi comprimari valgono la visione del film.
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Devo dire che sono pienamente d’accordo.
Mi pare, inoltre, che abbiamo modificato in corsa anche il disegno del “mostro finale” (quel cane venuto male)…credo che dovesse ricordare in qualche modo i tributi defunti passati!
Grazie!
Infatti non ho citato i “cani venuti male” per non fare Spoiler, ma in effetti sembrano usciti da Twilight.